Said (nome di fantasia), 12 anni, frequenta il secondo anno della scuola secondaria di primo grado.
Lo incontro il primo giorno in cui entro a scuola per dare avvio al servizio di sportello psicologico, è stato veloce nel chiedermi un appuntamento quando sono passata nella sua classe a presentare il servizio e a spiegare ai ragazzi la sua utilità.
Entra nella mia stanza con fare dimesso, tiene la testa bassa, trascina le gambe e nonostante la scuola sia ben riscaldata è coperto da un giaccone largo e un cappuccio che fa giusto intravedere il suo viso olivastro, i capelli e le folte sopracciglia nere. Sprofonda nella sedia e guardandomi dal basso comincia a raccontare del suo andare male a scuola e del fatto che se prima almeno provava a studiare ora non lo fa più perché il risultato è sempre e comunque un quattro, che non è intelligente né capace in nulla. Raccontare di sé lo fa aprire sempre più e si sposta così sul sentirsi brutto e grasso, sul fatto che nessuno lo vuole e che si sente non desiderato. Cerco di approfondire questo importante tema ed emerge che Said si sente emarginato dai compagni e che anche solo la forte indifferenza che percepisce da parte loro lo fa stare molto male. Non riesce più trattenere le lacrime e si sfoga in un pianto a dirotto nel quale dice di essere “il virus della classe”, che nessuno vuole sedersi vicino a lui e che non ha amici. Insomma sembra considerarsi un ragazzino brutto, solo e non apprezzato né dai coetanei né dai professori. Dalle sue parole la famiglia sembra non poter capire né fare qualcosa per lui in questo momento: mi descrive una famiglia araba molto legata alla cultura musulmana (cultura che Said spiega e di cui parla con un senso critico che colpisce per maturità) che non può forse capire il momento di vita di Said e che lo mette in guardia dal mondo esterno, “gli amici non esistono” è una credenza molto forte a casa e per questo non gli è concessa grande frequentazione di altri ragazzi.
Il nostro tempo per oggi sta per scadere – anche se sembra passato in un lampo – e siamo entrambi d’accordo nel fissare un altro incontro al più presto per riprendere e continuare questo importante discorso.
Said sembra già più sollevato, mi trasmette un senso di gratitudine e una fiducia che sono felice di poter ricambiare.
Il primo incontro con lui mi lascia l’immagine di un ragazzino molto intelligente, in difficoltà perché a cavallo tra due culture di riferimento, con problemi scolastici che sembrano più l’esito di un livello di autostima basso e un gran bisogno di sentirsi, come i suoi compagni, parte del grande gruppo degli adolescenti.
Ho continuato a incontrare Said all’interno del mio spazio a scuola con frequenza all’incirca mensile e il nostro rapporto è andato evolvendosi con l’approfondimento delle tematiche e l’aumento della sua fiducia nei miei confronti.
Quando necessario mi ha cercato scrivendo un biglietto che recitava “Sono Said e ho bisogno d’aiuto”, dimostrando così totale affidamento da parte sua e una rinata speranza di poter essere ascoltato e capito da qualcuno.
Uno degli elementi emersi è stato quello di non sentirsi visto da nessuno, né dai compagni di classe dai quali si sentiva escluso e non cercato, né dagli insegnanti che ai suoi occhi lo consideravano un ragazzo svogliato e poco intelligente. Da questo punto di vista avere un suo spazio personale e privato con la psicologa della scuola gli ha permesso di sentirsi visto in maniera speciale, con grande attenzione, sincero interesse per la sua persona e per quanto stava passando nella sua mente e stava succedendo alle sue emozioni.
Uno dei miei obiettivi era quello di rinforzarlo sul piano dell’autostima sottolineando le sue capacità e risorse, sostenendolo rispetto alle sue competenze, alla sua intelligenza e alla possibilità di riuscire nelle cose esattamente come gli altri; si è trattato di restituirgli un’immagine di lui di un ragazzo capace, sveglio e più sensibile della media rispetto ai ragazzi della sua età, dandogli allo stesso tempo la responsabilità di prendere in mano la situazione che stava vivendo e di cambiarla nei modi che sicuramente era capace di fare e che avremmo potuto concordare insieme.
Sul piano didattico ho cercato – grazie al consenso di Said sul confrontarmi con alcuni suoi insegnanti – di metterlo nella condizione migliore per dimostrare qualcosa a scuola e grazie alla disponibilità dei professori ogni suo piccolo impegno è stato valorizzato, ogni suo sforzo è stato apprezzato al di là del risultato scolastico in sé. Said è entrato nel campo visivo dei suoi insegnanti e di questo lui si è accorto, motivandosi maggiormente nello studio. La rete con gli insegnanti ha portato a vedere nella promozione un obiettivo concreto per cui dimostrare impegno e per il quale Said sembrava ora disponibile a lottare.
Gli amici e i compagni sono rimasti sempre un cruccio, grande motivo di tristezza per lui era vedere le foto di gruppo dei suoi compagni sui social, foto nelle quali lui non era mai presente.
Abbiamo cercato di affrontare anche questo aspetto della sua esistenza considerando le risorse possibili e le azioni che Said poteva e doveva metter in atto se voleva cercare di modificare in senso positivo il mondo delle sue relazioni sociali. Abbiamo valutato e deciso quali comportamenti agire e in quali contesti affinché potesse aumentare i momenti di frequentazione coi compagni; la cultura familiare non è stato un aiuto ma le lamentele di Said su questo sono state da me accolte; forse sentire che “le impressioni di un bambino” venivano ascoltate, comprese e valorizzate lo ha aiutato a elaborare meglio questi aspetti.
Nel corso dei nostri incontri Said ha subìto una trasformazione: ha cominciato a non coprirsi più con giacche e cappuccio, a entrare col sorriso sulle labbra nella mia stanza (e qualche volta a passare durante l’intervallo per un semplice saluto, quasi a tenere vivo il filo che ci univa), a camminare più sicuro di sé e a cominciare a individuare da solo risorse e capacità preziose prima nascoste. Così emerge ad esempio una particolare bravura nel disegno che lo porta ad attrarre qualche compagno per ammirare i suoi disegni e a costituire un piccolo gruppetto di lavoro spontaneo in cui disegnare e confrontarsi a vicenda, gruppetto del quale Said è evidentemente il più capace. Ha insomma cominciato a credere di valere e di poter essere interessante per qualcuno.
Ovviamente ci sono sempre stati alti e bassi e il mio compito è stato quello di riportarlo sempre al punto di arrivo raggiunto e di rimandargli un’immagine di lui cambiata e conquistata con l’impegno e la fiducia nelle sue capacità.
Quando l’anno scolastico è terminato ci siamo lasciati con la speranza di una promozione, di rivederci l’anno successivo e con questo commento finale di Said al servizio dello sportello scolastico. “La psicologa ha dato il massimo per risolvere i miei problemi. Mi è stato molto utile perché sto imparando a stare in mezzo alla gente a essere più sociale. Senza di lei probabilmente il problema sarebbe restato fino all’Università e sarebbe stato in grosso problema”
Il nuovo anno scolastico è appena cominciato e Said è stato il primo a chiedermi un appuntamento. Lui è entrato sorridente e contento per questo nostro incontro, io ho saputo che è stato promosso, che una sua compagna gli ha chiesto di fare un disegno solo per lei e che l’anno prossimo vuole fare il liceo artistico.
Non credo che quest’anno ci vedremo molto, credo però che avere lo sportello psicologico a scuola gli abbia ridato speranza e futuro.
Lo sportello psicologico scolastico è una delle più importanti risorse che una scuola può offrire ai suoi studenti e alle famiglie. Ogni settimana i ragazzi – della scuola secondaria di primo o e secondo grado – possono liberamente scegliere di avere un incontro in uno spazio riservato con lo psicologo per condividere loro preoccupazioni, difficoltà o problemi. Negli ultimi anni questo servizio è diventato spesso parte integrante di una scuola che funziona ed è entrato nella cultura di studenti e insegnanti, venendo ad essere un riferimento utile lungo il corso di tutto l’anno scolastico.